TI ASCOLTO – Nuovo progetto!

Link video ⤵️

Cari amici e amiche sono molto emozionata perché ho preparato un progetto per voi. Si chiama TI ASCOLTO e l’idea è nata come desiderio di dare voce a chi desidera condividere parte di sé stesso parlando con qualcuno ma sente che a nessuno importa ascoltarlo.

Viviamo in un mondo dove si va sempre a mille e dove tutti vogliono parlare ma nessuno è pronto ad ascoltare.
In realtà non sappiamo ascoltare.
Ci interrompiamo a vicenda continuando a raccontare uno scenario indipendentemente da quello che dice la persona che si trova davanti a noi in quel momento.

Ognuno parla e nessuno ascolta.
Arriviamo a casa dopo una giornata intera passata nella corsa per il denaro e abbiamo tante cose da raccontare.
Ma nessuno ascolta veramente. Facciamo finta di ascoltare mentre guardiamo vari social o mentre rispondiamo ai messaggi.

Non ci si guardia neache negli occhi come se tu non fossi lì.
Praticamente è un po’ come morire quando nessuno ti vede realmente.
È così che immagino uno spirito che gira per casa e cerca di attirare la nostra attenzione.

Ascoltare è come dire: io tengo a te, ti accarezzo, ti abbraccio, ti vedo, ti sento, mi connetto con te con anima e corpo. Sono qui per te. Ti voglio bene. Ti amo. Ho il piacere di passare il tempo con te. Ti dedico il mio tempo e il tempo è tutto quello che ho.

Dietro alle nostre parole c’è l’energia. E ogni volta che parliamo senza essere ascoltati, noi perdiamo un po’ di quel energia e con il tempo ci scarichiamo come delle batterie

Avremmo tanto bisogno di un orecchio ma collegato al cuore delle persone care.
In realtà non cerchiamo le soluzioni, cerchiamo il supporto di partner, amici, genitori, figli…

Ci allontaniamo sempre di più da quella vita che sognavamo soprattutto perché le prime a ferirci in questo modo sono proprio le persone che amiamo di più.

Quando non riusciamo a condividere i nostri sogni e le nostre paure viviamo la vita da invisibili.
Fateci caso quando scambiamo qualche parola con un gentile anziano in strada o al supermercato.
Loro si sentono invisibili perché i familiari spesso non hanno né voglia né tempo per ascoltare i loro racconti.
Per questo si mettono a parlare della loro vita con chi gli ispira fiducia.
Quanto amore contengono quelle parole.
Contengono la magia di una vita felice.
E quando vedi il sorriso, vedi tornare i colori di quella vita passata sui loro volti.
I loro occhi brillano.
Perché con la tua attenzione li rendi visibili.
Anche per i bambini è naturale parlare con tutti.


Chi ha avuto occasione di leggere la mia esperienza di mutismo selettivo sa molto bene quanto mi sentivo invisibile in una società e un sistema scolastico che mi aveva lasciato in un angolo della scuola. Da sola.
In realtà sembravo messa in punizione perché ero diversa, non parlavo, in fondo non ero brava come altri bambini e quindi meritavo solo quel angolo dove non davo fastidio a nessuno.  Perché non esistevo per loro e quindi non meritavo la loro attenzione.

Siccome sono senza lavoro ormai da molti mesi ho pensato di dedicare il mio tempo alle persone che si riconosceranno nella descrizione.
Io amo parlare della vita ed è la mia passione più grande.
L’unica cosa alla quale mi raccomando non voglio donare il mio tempo e il mio cuore e l’energia alle persone che desiderano soltanto lamentarsi delle loro disgrazie.

Se credi che parlare con me come ad un amica ti renderà la vita migliore perché cerchi serenità ma anche soluzioni e soprattutto credi in possibilità di realizzare una vita migliore allora benvenuto o benvenuta tra quelle persone che desidero ascoltare con il cuore.

Non cerchiamo le soluzioni perché sono convinta che verranno come ispirazioni ma cerchiamo di vedere gli ostacoli illuminandoli da angolazioni diverse e quindi da altri punti di vista.
Voglio far sentire vive e visibili quante piu persone al mondo.

Per informazioni potete mandarmi una mail a info.perfettamente@gmail.com


Per chi desidera subito prenotarsi scrivetemi anche di quale tema in particolare vorreste parlare.
In ogni caso scrivetemi per tutte le informazioni che desiderate.
Vi lascio indirizzo email anche sotto nella descrizione del video e tra i commenti.


Non vedo l’ora di conoscervi.
Grazie di ❤️
Un abbraccio da Katica

INVISIBILITÀ DIVENTA LA FORZA – MUTISMO SELETTIVO

Quando ero bambina parlavo con poche persone.
All’asilo e nella prima elementare non ho detto neanche una parola.
Sono andata avanti così fino alla seconda elementare.

Poi un maestro nella sua ignoranza mi ha costretto a parlare.
Letteralmente costretto.
La sua tecnica era quella di dire “ora basta, mi sono stufato” e ha cominciato a strillare più che poteva.

Era diventato come un semaforo..
La sua faccia cambiava colori dalla rabbia che usciva dal suo corpo.
Sembrava che si stava sfogando per tutto quello che negli anni passati era rimasto dentro di lui.

Avevo tanta paura da quel mostruoso personaggio ormai in delirio. All’improvviso ho parlato.
Ho preferito parlare.
L’ansia che mi ha messo ha superato quella che mi bloccava le parole in gola.

In realtà dovevo leggere un testo.
Non vedevo ne lettere, ne capivo cosa diceva quel libro ma tremolante come una piccola foglia sotto il forte vento ho cominciato a fare quello che lui ha chiesto.

Il mondo ha sentito le mie prime parole quando avevo circa 8-9 anni.
Se non sbaglio i conti, era l’anno scolastico 1988/89.
All’epoca vivevo in Croazia ma ufficialmente lo stato era la Jugoslavia.

Nessuno sapeva niente riguardo al mutismo selettivo.
Figuriamoci un maestro di quel epoca.
Uno di quelli che fumava nella classe. Lavorava in una scuola che era composta da 4 stanze più i bagni.

Una stanza era l’asilo, altre due ospitavano le 2 classi per stanza, dalla prima alla quarta.
Io per esempio sono andata alla prima insieme ai bambini della quarta elementare.
Poi nella seconda elementare è arrivato un nuovo gruppo di bambini della prima elementare della quale faceva parte anche mia sorella.

La quarta stanza era la cucina, con i tavolini dove andavamo a mangiare quello che la dolcissima signora cuoca cucinava per noi.
Finivamo di mangiare e come ho già detto in un altro articolo, mi mettevo in un angolo davanti alla prima porta.
Quella era la mia classe.

Non mi era permesso di entrare dentro durante la pausa.
Il punto più vicino era quel muro e quel angolo.
Era un angolo dove mi sentivo sicura.

Era il posto dove diventavo invisibile.
Vedevo passare i due maestri.
Quello della mia classe e l’altro.
A volte c’era anche la maestra d’asilo.
Lei era molto dolce con me.
Ma quando passavano li nessuno mi vedeva.
Vi immaginate quanto dolore provavo nel silenzio?
E più mi sentivo annullata più diventavo invisibile.
Ero inutile.

Nessuno aveva una parola o un gesto dolce per quella bambina li.
Si sono semplicemente abituati a non vedermi.
Non si aspettavano niente da me.
Non mi chiedevano niente.
Semplicemente ero invisibile.
E quello è diventata la mia forza da adulta.
Ero nel buio totale, come un seme prima di diventare una splendida pianta.

Ero invisibile ma è da lì che viene la mia forza.

Nella mia invisibilità ho potuto osservare il mondo che mi circonda da un altra dimensione.
Non mi hanno obbligato a entrare nell’identità di quella che obbedisce.
Io avevo la libertà di essere così come sono.
Senza aspettative.

Avevo la possibilità di esplorare il mondo dell’immaginazione.
Ho dedicato tanto tempo a quello che adesso so che era la connessione con la mia anima.
E quello è stata la fiamma che ho portato con me cosi come si porta quella olimpionica.
L’ho portata nel futuro.

È un regalo magico con il quale da adulta resto per sempre collegata con la forza di quella bambina abbandonata alla sua solitudine.
Quella bambina sapeva di poter creare una donna forte e coraggiosa in età adulta.
È diventarlo è il più bel dono che posso regalargli perché era l’unica che dall’inizio ha sempre creduto in me.

Un abbraccio  ❤️

Katica Sjaus

IL MIO MONDO È A COLORI

Il mio mondo è pieno di colori
A volte li scelgo, a volte si mischiano da soli
Sono i colori della forza, coraggio e soprattutto AMORE

Amore lo metto ovunque
È un colore che si abbina a tutto
Ai tramonti
Alla fiducia
Ai baci
Alle carezze
Alle telefonate

Ma io lo aggiungo anche lì dove mi dicono che non servirà a niente
Lo regalo alle persone perse, sfiduciate
Alle quali tutto il mondo è crollato addosso
Oppure gli ha girato le spalle
Lasciandoli soli

A volte però crollo anch’io
A volte avrei bisogno di un abbraccio
A volte cado a pezzi
Piango
Mi dispero
Ma poi
Rilascio
Mando tutto affanculo
E ricomincio
Più determinata di prima
Perché crollare serve per ricostruire

Ricominciano solo le persone coraggiose
Gli altri cercano scuse per spiegare al mondo perché non funziona
Si fermano
Fanno le vittime
Restano immobili
Mentre la vita passa
Giorno dopo giorno
Ogni giorno vivono le stesse cose
Sperando che succeda un miracolo

E i miracoli arrivano, eccome
Tutti i giorni
Ma per vederli devi credere che esistano
Perché i miracoli ci accompagnano dalla nascita alla nostra fine
In ogni istante sono qui intorno a noi

Finché respiri
Finché senti il battito del tuo cuore
Finché guardi il mare
Finché fai l’amore
Finché vivi, ami, cammini, pensi, viaggi, sogni

Tutto questo è magia
Tutto questo è vita
Ed è per questo che non devi scoraggiarti
Non devi aver paura di andare avanti
Non devi aver paura di valere di meno
Di essere meno bravo degli altri
Di essere giudicato o fallito

Finché sei qui e vivi
Ricordati che la vita è il più grande miracolo che hai creato
Per essere qui
Hai vinto tu
E se l’hai fatto una volta
Puoi farlo tutte le volte che vuoi
Io credo in te!
Solo tu puoi realizzare i tuoi sogni!

Katica Sjaus

🙏❤️

NO, IL GATTO NON MI HA MANGIATO LA LINGUA!

La mia storia raccontata nel gruppo facebook: MUTISMO SELETTIVO
❤️❤️❤️

➡️ Cercando di utilizzare l’era digitale nel migliore dei modi, come promesso, voglio DIVULGARE e INFORMARE tutti voi che venite in contatto con i bambini con queste due parole MUTISMO SELETTIVO!

Si sono quei bambini che “non parlano” ma:
👉 NON LO FANNO APPOSTA!
👉 NON È SOLO TIMIDEZZA!
👉 SE NON SAPETE COSA DIRE, NON PARLATE.
👉INFORMATEVI!
👉 EDUCATEVI!

Qui sotto link per YouTube ⬇️

Sono una donna di 39 anni e solo poco tempo fà ho dato un nome alla mia sofferenza che mi ha segnato tutta la infanzia e successivamente anche la vita.

Ho pianto quando mi sono riconosciuta in mutismo selettivo perché dentro di me c’era ancora quella bambina che pensava di essere diversa e completamente sbagliata.

Erano anni 80, vivevo in un piccolo paese di quella che all’epoca era Yugoslavia (precisamente in Croazia).
Mia mamma doveva andare spesso in un ospedale psichiatrico e papà era sempre a lavoro.
Le persone con le quali passavo più tempo erano mia sorella e nonno anziano.
Nonno era molto “grezzo” nella comunicazione con la quale di sicuro non alimentava una buona autostima.

Io parlavo poco con i familiari e non ho mai, mai, mai detto una sola parola all’asilo ne a scuola fino alla seconda elementare quando un insegnante un giorno ha deciso gridando come un pazzo che dovevo parlare.
Era stufo del mio silenzio e mi ha costretta a leggere un pezzo da un libro.

Ricordo la mia disperazione, mi piangeva il corpo e l’anima.
Tutti i bambini mi guardavano.
Avevo paura di lui.
Singhiozzando ho cominciato a leggere.
Quelle erano le prime parole, era la prima volta che si è sentita la mia vocina dentro quella scuola.

Ma non bastava.
Non significava che da giorno dopo avrei parlato come altri bambini.

Non ho mai chiesto di andare in bagno.
Neanche quando ero nelle superiori.
Non amavo attirare attenzione.
In nessun modo.

Ricordo che nella prima elementare in pausa per la merenda e dopo aver mangiato, tornavo davanti alla classe.
Mi mettevo nell’angolo come un cucciolo ferito, abbandonato e solo.

È lì che aspettavo l’inizio delle lezioni.
Da sola davanti agli occhi del mondo.
I miei compagni andavano a giocare.
Io no.
Io soffrivo in quel mondo dove non mi sentivo protetta.

Ero vulnerabile.
Tutta la mia vita era così diversa da quei bambini felici che giocavano, ridevano, parlavano.

A me invece gli adulti chiedevano se il gatto mi avesse mangiato la lingua.
E sentivo mio papà rispondere: “È timida!”

Odiavo quella etichetta!
Odiavo me stessa perché ero diversa.
Odiavo la mia famiglia perché non era come quella di altri bambini.

Poi arrivavo a casa, sulla piccola montagna affacciata sul mare.
Quello era il mio paradiso.
Li mi lasciavo trasportare dalla magia che sentivo di avere dentro il mio cuore.

È lì che giocavo felicemente con mia sorella e quando restavo sola sognavo a occhi aperti.
Sognavo di diventare un giorno così famosa per far vedere al mondo quanti colori portavo dentro di me.
Erano così tanti da riuscire a colorare la vita di tutte le persone che avrei incontrato.

Oggi sogno di salire su un palco. Anche da bambina avevo spesso questa visione.

I miei migliori amici sono stati i libri.
Amo leggere e amo scrivere.

Per cercare di liberarmi dalla “ruggine” che portavo dentro di me ho aperto un blog dove scrivo le mie riflessioni.
Ho cominciato a scrivere anche il mio primo libro e per cercare di realizzare un altro sogno ho aperto un canale su YouTube.
Insomma, mi sembra di avere dentro di me tante parole che vogliono uscire.

Immaginate cosa significa per una persona che ha portato il mutismo selettivo tutta la vita con se come un accessorio, arrivare a parlare in un video dove si espone completamente al giudizio di tutti quelli che vedranno quelle riprese.

Sono così orgogliosa di me stessa e di tutto quello che ho passato.
E quel mutismo selettivo è stata la benedizione della mia vita perché quando si sta in silenzio, si osserva il mondo intorno e si sviluppa l’empatia.

Sono grata a tutti i ricordi perché li tengo come una pepita d’oro che mi ha fatto diventare chi sono oggi, cioè appoggio e coraggio per tutte le persone che ne hanno bisogno.

❤️❤️❤️

ASCOLTAMI QUANDO NON PARLO

[La mia esperienza con il mutismo selettivo]

Photo: Archivio personale

Sono sempre stata molto legata a mia sorella. Lei è più piccola di circa un anno.
Tutte le altre persone l’ho aggiunte successivamente nella mia lista di persone con le quali posso parlare.

La mia famiglia era composta da mia sorella Ana, mamma, papà e nonno.

Durante i primi anni dell’infanzia papà accompagnava spesso mamma all’ospedale psichiatrico. I medici la trattenevano sempre almeno qualche giorno o anche settimana.

Ricordo una volta in particolare.

Quella volta ero convinta che fosse la prima ma poi ho trovato un documento che mi faceva capire che tutte le altre volte ero

troppo piccola per ricordare.

Quella volta mamma e papà sono usciti molto presto. Probabilmente verso le 5 del mattino.
Non avevamo una macchina e quindi sono andati a prendere il bus.

La giornata non me la ricordo per niente. Immagino sia passata giocando con Ana come tante altre volte.

Invece, nel pomeriggio avevamo cominciato a guardare la strada. Sempre più spesso.

Dalla nostra casa sulla montagna vedevamo benissimo la strada giù al mare. E potevamo vedere anche il pullman.

Ogni secondo che si avvicinava verso la sera, sembrava sempre più lungo.
L’ansia e la paura nei nostri cuoricini erano indescrivibili.

Nonno guardava la strada, noi due guardavamo la strada.
Povero nonno probabilmente era in ansia anche lui. Non sapeva cosa dirci, come proteggerci da quella sofferenza.

Non sapevamo cosa è successo, per quale motivo mamma e papà non sono ancora tornati.

Si era fatto buio e dovevamo andare a dormire. Nonno ha acceso la candela sul comodino e noi siamo entrate a letto con due cuori pesanti come se fossero fatti di piombo.

Ricordo che guardavo la candela e pensavo alle parole di mamma: “Non ti avvicinare altrimenti ti bruci!”
Giusto per farti capire, mia mamma potrebbe tranquillamente avere Ansia come secondo nome.

In quel istante avevo paura che nonno si fosse dimenticato di venire a spegnerla.
E quella volta ho immaginato per la prima volta un evento brutto che poteva succedere al quale da bambina non dovevo neanche pensare.

Avevo paura che la candela potesse bruciare tutta la camera. Per fortuna più tardi nonno è venuto a vedere se ci siamo coperte e l’ha spenta.
La camera si è riempita di ombre, del odore della candela spenta e di tanta tantissima ansia e sensazione di abbandono.

Mi sono sentita sola al mondo.

Adesso se potessi tornerei indietro, mi metterei in ginocchio vicino a quel letto e abbracciando le due piccole bimbe susurrerei: “Va tutto bene! Va tutto bene!”

Quella sera sul letto di mamma e papà c’erano queste due bambine di circa 3-4 o 5 anni che sembravano due angeli biondi ai quali il destino crudele aveva appena tagliato le ali.

Siamo andate a dormire senza mamma e senza papà.

Dopo qualche giorno mamma è tornata a casa ma siccome aveva spesso attacchi di panico, paura di morire e ansie di vario genere papà la riportava in ospedale.
Sembrava pericolosa per se stessa e cercava di allontanare me e mia sorella quando sentiva un attacco in arrivo.

Questi erano i primi anni della mia vita. Io, Ana e nonno eravamo sempre insieme.
Mama e papà no, perché mamma restava in ospedale e papà tornava a lavoro.

Ricordo una volta quando sono caduta in giardino. Sono atterrata sulle ginocchia e per qualche secondo ho provato un dolore indescrivibile e non riuscivo neanche ad alzarmi.

In quel momento ho sentito il desiderio di piangere chiamando la mamma come fanno tutti i bambini.
Subito dopo ho pensato: ” È inutile, che la chiamo a fare. Mamma non verrà!”

Quando eravamo tutti insieme il mio mondo erano loro. Tutto quello che avevo erano loro. Tutto quello che conoscevo erano loro.

I rari momenti quando si allargava questo mondo erano i mesi estivi quando venivano a trovarci i nostri parenti italiani.

Io ero timida. Evitavo lo sguardo e spesso sentendomi spaesata davanti a loro mi mettevo a piangere.
La stessa cosa è successa in fotografia mentre zio cercava di fotografarmi.

Arrivata a 5 anni ricordo un pomeriggio quando mia mamma piangeva.

La vicina di casa le diceva di non preoccuparsi perché tutti i bambini prima o poi andranno in asilo e poi a scuola.
Giorno dopo mi hanno lasciata con una signora e una decina di bambini. Tutti sconosciuti! Mai visto prima nessuno di loro.
Non riuscivo a parlare. Non volevo stare lì con loro.
Volevo tornare a casa.

Volevo stare con la mia famiglia anche se non era perfetta.

Volevo chiacchierare e giocare come sempre con mia sorella.
Ho pianto. Era un incubo restare lì.

Quando sono venuti a prendermi ho cominciato a piangere di nuovo. A mio papà ho detto che mi ero dimenticata il mio asciugamanino piccolo e lui mi ha risposto che l’abbiamo portato lì apposta perché mi servirà anche domani.
E così ho capito che dovevo tornare in quel posto pieno di bambini e giocattoli tra i quali mi sentivo spaesata.

Dovevo stare lì ma dentro di me sentivo solo il desiderio di tornare a casa.
Per soffrire di meno mi sono “spenta“, “annullata” in quelle ore.

L’unica cosa per la quale cercavo attenzione era quando dovevo andare in bagno.
Come facevo?
Ovviamente non a parole.
Cominciavo a piangere in silenzio.

Qualche bambino notava le mie lacrime e lo comunicava alla maestra.

In quel momento cominciavano le domande: “Hai fame?”, “Ti fa male qualcosa?” e io facevo il segno di no solo con la testa.
Poi quando chiedevano: ” Devi andare al bagno?” annuivo sempre con la testa e la maestra diceva a una bambina del gruppo di accompagnarmi.

Tornavo a casa e recuperavo le mie chiacchiere.

Dopo due anni di asilo è arrivato il momento di andare a scuola.

Tutti speravano in un improvviso cambiamento ma io ormai avevo l’identità di quella che non parla, quella timida.

La timidezza era come un etichetta che portavo incollata addosso.

In pausa per la merenda andavo a mangiare in sala pranzo con tutti i miei compagni di classe.

Dopo loro andavano tutti a giocare fuori. Io no.

Avevo scelto l’angolo di muri proprio davanti alla porta della mia classe.

Mi attaccavo con la schiena al muro e aspettavo li.

Si, aspettavo proprio lì. Tutti i giorni.

Passavano i professori e io stavo li. Mi sentivo invisibile ai loro occhi. Lo so che sembra incredibile ma è un ricordo che mi fà venire le lacrime agli occhi.

Il primo giorno di scuola era anche l’ultimo giorno di vita con mia mamma.

Quel giorno è stata portata in ospedale e uscendo da lì l’hanno trasferita dai miei nonni.

Amavo le giornate estive quando papà invitava me e Ana di prepararci e ci portava a lavoro.

Lavorava sulla manutenzione di un bellissimo hotel in spiaggia.
Ci portava con lui, ci offriva il suo pranzo e ci faceva divertire tra gli ascensori, parco giochi e la spiaggia.

Spesso i suoi colleghi ci facevano delle domande. Una di quelle più odiose era: “Avete trovato il fidanzatino?”
Noi non rispondevamo e quando non rispondi ti dicono: “Che il gatto ti ha mangiato la lingua?” e mio papà rispodeva: “Sono timide!”

Ma io parlavo con il mio silenzio e mi arrabbiavo quando mi presentava come timida.

Mi faceva sentire peggio.

Mia sorella rispondeva qualche volta. Lei parlava anche a scuola ma alle domande imbarazzanti non rispondeva.

Sono riuscita ad arrivare a metà del anno scolastico senza dire una parola.

Per andare al bagno aspettavo le pause ma a volte era anche un problema alzarmi, attirare attenzione di tutti e camminare fino al bagno. Ero ibernizzata ma dentro di me “bolliva” solo il desiderio di tornare a casa.

Una volta siamo stati portati a giocare lontano da scuola.

Io stavo in disparte come sempre e dovevo fare la pipì.

Ricordo ancora il liquido caldo che mi scende lungo le gambe e bagnando i miei pantaloni verdi di velluto fa vedere a tutti cosa mi è successo.

Purtroppo i professori hanno saputo solo farmi ritornare in cassetta così bagnata. Non mi hanno accompagnato a casa.

Dopo un po’ di tempo il professore è andato in malattia e la professoressa che lo sostituiva ha suggerito a mio papà di portarmi da suo marito che era il medico di famiglia.

Papà mi ha portato da lui ma non ricordo altro.
Suppongo che avranno dato la “colpa” alla nostra situazione in famiglia e che non si poteva fare altro. Dovevamo solo attendere che poi con il tempo mi passerà questa cosa.
Dopo la visita non è cambiato niente.

Qualche mese dopo il mio maestro è tornato e per lui era incredibile la storia di mio papà che gli raccontava della figlia chiacchierona.

Un giorno mio papà ha tirato fuori lo stereo, microfoni e una cassetta e ha chiesto a me e ad Ana di registrare le nostre poesie e cose simili.
Per noi era un bellissimo gioco.
Mia sorella era più spigliata ma ci siamo divertiti tutti e tre.
Poi mio papà mi ha detto di leggere un testo dal mio libro di scuola.
Uno di quelli che i miei compagni di classe dovevano leggere a voce alta davanti a tutti per far valutare al professore se hanno imparato bene la lettura.

Così il professore ha capito che effettivamente parlavo. Non c’era niente che non andava con me.

Un giorno si è rotto le scatole del mio silenzio e mi ha chiesto di leggere un testo.

Io non riuscivo. Non volevo. Io ero quella che non parlava.

Lui aveva deciso di rompere questo silenzio. Urlava. Non ricordo cosa. Ricordo solo le urla e le mie lacrime.
Piangevo così tanto per la paura che mi ha messo.

Ancora oggi non sopporto urla perché mi ricordano il pericolo di quando mamma perdeva la testa urlando.

Suppongo che l’ansia di parlare in quel momento era superata dalla paura di vedere questo professore rosso in faccia con una voce che si sentiva anche fuori dalla scuola.

Piangendo, singhiozzando, senza neanche vedere le lettere sulla pagina avevo cominciato a leggere. Davanti a tutti.

Non è una favola ne illusione dove da quel momento va tutto bene. Ci sono stati alti e bassi ma almeno avevo cominciato a rispondere alle domande anche alle persone alle quali non avrei mai cominciato a parlare per prima.

Non parlavo se non mi si faceva una domanda.

Purtroppo molte generazioni hanno scoperto il mutismo selettivo troppo tardi.

Quando ormai erano grandi.
Quando ormai ogni giorno era un battaglia tra quello che sentivamo dentro e quello che si aspettava la società da noi.

No, non eravamo uguali agli altri bambini.

Ma questo non significa che non avevamo niente da dare o dire al mondo. Anzi!

Le parole nascoste dentro di noi spesso vengono espresse sui fogli di quaderni, con i colori sulle tele e altri modi simili.

Arte è la modalità preferita di esprimerci anche in età adulta.

Grazie di aver letto questo racconto perché tutti noi abbiamo le nostre storie e tutti abbiamo parti di noi che vogliamo condividere con il mondo.

Ovviamente quando sentiamo che sia arrivato il momento giusto.

Non forzare a nessuno di fare qualcosa che pensi che dovrebbe.

Lo fara se e quando si sentirà sicuro vicino a te.
Credi in lui perché suo mondo interiore è ricco di possibilità come il tuo.

Quando ho capito che era il mutismo selettivo quello che mi ha frenato da piccola, ho pianto. Era un pianto di gioia. Da quel momento mi sono sentita liberata dalla gabbia di muttismo selettivo.

Lasciami un commento se anche tu hai avuto il contatto con il mutismo selettivo. Con tutto il cuore voglio leggere la tua esperienza.

Grazie di cuore

By Katica Sjaus

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Con amore

Katica Sjaus

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