CONSIGLI PER GESTIRE ANSIA|DELUSIONE D’AMORE

Nuovo video 🎥📽️

In questo video racconto la mia esperienza di come ho gestito una forte #delusione che aveva riportato #ansia nella mia vita.
Consiglio questi metodi molto semplici soprattutto alle persone con problemi di delusione in #amore.

Fatemi sapere come gestite queste situazioni dove l’ansia passa un pò di giorni al vostro fianco.

Un abbraccio ❤️

Katica

👇👇👇👇

COME STAI?

Voglio chiederti come stai?
Ma tu non lasciarla lì come una frase che verrà portata via dal vento.
Non fare finta di niente.
Rispondi.
Voglio sapere davvero come stai.

Sai che le parole hanno una frequenza.
Quello che viviamo proviene proprio da lì.
La nostra vita dipende da quel film che a ripetizione gira nella nostra testa.
Le parole sono la nostra forza e la nostra penitenza.
La scelta è nelle nostre decisioni.

Solo noi possiamo decidere di interrompere il flusso di parole che non ci piacciono.
Solo noi possiamo decidere di dedicare i nostri sensi a qualcosa che ci renderà felice.

Allora decidiamo adesso di dedicare il tempo solo ai pensieri costruttivi.
Dedichiamo a noi stessi e a tutto il mondo solo i pensieri d’amore e compassione.
È un impegno che si rinnoverà ogni giorno ma ci cambierà tutta la vita.
By Katica Sjaus

❤️❤️❤️
Cari lettori,
grazie a questo blog è nato un libro/e-book.

È una raccolta di RIFLESSIONI – Parole, pensieri e sogni di una donna.

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Con amore

Katica Sjaus

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COSA FARE QUANDO HAI PAURA?

Hai paura di soffrire?
… di non essere all’altezza?
… di essere giudicato?
… di fare brutta figura?
… di cosa penserà la gente?
Hai paura di essere abbandonato?
… di non essere accettato?

Hai paura di sbagliare?
… di essere tradito?
… di restare senza soldi, casa, cibo?
… di perdere il lavoro?

Hai paura di ammalarti?
… di contrarre il virus?
… di morire di cancro?
… di avere un infarto?
… di spazi aperti oppure di ascensori?
… di attacchi di panico?

Hai paura di perdere i tuoi cari?
I tuoi genitori, il partner, amici o addirittura i figli?
Hai paura di morire lasciandoli soli?

Hai paura di animali, ragni, serpenti o altre forme di vita?
Oppure hai paura dell’altezza?
Hai paura dei temporali?
Incidenti?

Hai paura di sprecare la tua vita senza viverla davvero?
Hai paura di essere un perdente?
Allora comincia a togliere strati di te che non vuoi più indossare.

Cosa pensi davvero di te?
Perché pensi di essere proprio così?
E se la tua convinzione fosse solo un abitudine di pensare in quella maniera?
E se scoprissi di essere completamente diverso sotto i vari strati di etichette?

Ricorda, hai imparato ad avere quelle paure inutili.
(La paura utile è quella che ti fa agire se vedi una tigre, queste invece non lo sono.)
Quelle sopra elencate ti mantengono quasi sempre in uno stato di stress costante.
Le porti avanti da anni aumentando così il tuo malessere.
La vita passa e tu hai paura di VIVERE!

Più tempo gli dedichi, più forza gli darai.
È come un ombra che cresce sempre di più mentre tu diventi sempre più piccolo.

Io ho vissuto la maggior parte della mia vita con questa nuvola gigante fatta di ansia.
Era sempre con me.
Mattina, pomeriggio e sera.
Fino a quando ho cominciato a smontare una paura dopo l’altra.
Io diventavo più grande e paure sempre più piccole.

Devi analizzare la tua paura.
Come?
Rilassati e prendi il caffè con la tua paura.
La devi guardare negli occhi.
Chiedi perchè è lì?
Cosa ti vuole insegnare?

Io non credo nelle coincidenze, ne casualità.
Tutto quello che succede è lì per me.
È per il mio bene. Mi farà crescere.
Anche quando non sembra così.
Tante volte ho scoperto che la sofferenza era una benedizione.

La mia paura più grande era “COSA PENSERÀ LA GENTE?”.
Così un giorno mentre stavo facendo tardi a lavoro mi sono sentita in gabbia.
Mi mancava il respiro.
Avevo ansia perché immaginavo in anticipo la scena mentre mi scusavo per aver fatto tardi.
Stavo male perché sentivo di aver “tradito” i colleghi.
Mi chiedevo se mi crederanno di non aver sentito la sveglia.
Il cuore batteva come impazzito un po’ per ansia e un po’ perché cercavo di sbrigarmi.

Correvo contro il tempo.
Rincorrevo qualcosa che era già andato avanti un ora prima.

E allora ho pensato…
“Stò facendo tardi, ma non è la fine del mondo. In ogni posto di lavoro ci sono quelli che non credono neanche se dici la verità.
Quello è un problema loro, non mio.
Io sono a posto con la mia coscienza e non voglio più soffrire per cose effettivamente banali.
Mi prendo la responsabilità della mia vita e della mia felicità.
Voglio vivere nel modo migliore possibile ogni istante della MIA VITA.”

Giorno dopo giorno, smontavo le mie convinzioni e la vita ha cominciato a fiorire come un prato in primavera.
Ho capito di aver vissuto mettendo sempre gli altri al primo posto, ma io così non ero felice.
Ho capito di essere nata per sbagliare, ripetere, imparare, credere nelle mie capacità e soprattutto sono nata per amare.
Amando me stessa e la mia vita ho tutto il necessario per amare e sostenere anche gli altri.
L’unica regola è ascoltare l’istinto e seguire l’amore.
Sempre!
Perché l’amore è l’unico antidoto contro la paura.

Katica Sjaus
❤️❤️❤️

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RICERCA DELLA FELICITÀ

Viviamo nell’epoca più bella dall’inizio della storia, ma viviamo ingrati.
Abbiamo tutto quello che 20, 50 o 100 anni fa neanche sognavano di avere ma a noi non basta.
Serve di più.
Cerchiamo di riempire le nostre vite con oggetti inutili.

Però quel vuoto e sempre lì.
Come un buco nero.
Quello che ci manca è sempre qualcosa che ancora dobbiamo raggiungere.
Prendiamo le medicine per il semplice mal di testa, per la tosse, per l’ansia, per dormire, per essere svegli e per essere felici.
Ma felici non siamo lo stesso.

Per tenerci lontano dal nostro TESORO, ci hanno detto che siamo un corpo e che abbiamo un anima.
Ma È AL CONTRARIO.
Siamo un anima e il corpo è semplicemente un vestito che abbiamo scelto per camminare sulla Terra.

Siamo l’anima.
Lo siamo stati ieri, lo siamo oggi e lo saremo per sempre.
Come si fa allora a non credere nella magia della vita?
Come si fa a credere di essere destinati a una vita piena di dolore?
Come si fa a tramandare da generazioni la frase che diceva mia mamma -“Ognuno deve portare la propria croce?”
Come si fa a vivere una vita con questi pensieri?

Quando per paura di agire ci si allontana dalla voce della propria anima arrivano i segnali.
L’ansia, paure, attacchi di panico e successivamente la depressione sono segnali di quanto ci siamo allontanati dalla nostra anima.

Per tornare sul suo sentiero, abbassa il volume di tutto quello che succede intorno a te e ascolta, ascolta cosa succede dentro di te.
Ascolta e accetta tutto quello che senti.
Accogli e ama ogni parola che senti.
Quello sei tu.
È lì che nasce, è li che cresce ed è li che vivrà per sempre la tua FELICITÀ!

❤️❤️❤️

EROINA IN CAMMINO

(Questa ero io fino ai miei 37 anni circa, una vita tra ansie, paure e attacchi di panico. Ringrazio il signor Carlo per avermi dato l’ispirazione per il titolo 🥰)

Ho sempre ansia
Tanta, tanta
Ho tante paure
Penso di non essere all’altezza
Tutti sono così bravi
Solo io non riesco a vivere la vita che desidero
Tutti hanno un fidanzato
Tutti hanno una famiglia
Tutti hanno i figli
Tutti si sposano
Tutti sono contenti perché dopo l’orario di lavoro escono, si divertono, vivono
Tutti sono così felici
Tutti sono così sorridenti

Io invece sento sempre l’ombra sopra di me
L’oscurità che mi rende invisibile
Cerco di parlare
Ma non ho voce
Nessuno mi sente
Sembra un incubo
Cerco di attirare attenzione ma ottengo solo sguardi indifferenti di un paio di secondi
E poi continuano a raccontare le loro avventure
E ridono
Tutti ridono
Io no
Io mi metterei a piangere
Io non trovo il motivo di ridere
Io sono quella sfortunata
E già sò che tornerò a casa e le lacrime usciranno come impazzite
Perché fa’ male questa vita
È da quando sono nata che ho tutti gli ostacoli possibili davanti a me
“Ma perché proprio tutti a me?”

Non ce la faccio ad andare avanti cosi
La sofferenza mi consuma
Non ho piú forze
Non ho mai avuto sostegno
Non ho mai saputo chiedere aiuto
Perché io non me lo merito
Non dovevo disturbare le vite degli altri
Non ho il diritto di portare la mia nuvola grigia sopra i loro campi di fiori colorati
Io sono quella che deve stare in disparte
Devo stare in silenzio
Come quando ero bambina

Non devo parlare
Non devo ridere
Allora esisto nel silenzio
Esisto senza esistere
A volte mi chiedo se esisto davvero
Un giorno in un supermercato mi sento morire
Tutto girava intorno a me
Non sentivo le gambe
Tremavo
La testa sembrava offuscata
Il cuore impazziva
Non riuscivo a respirare
Stavo morendo
Ma non volevo morire
Volevo vivere
Adesso ho ancora più paura
La cosa si ripete
Cerco di capire cos’è
Ma no non possono essere attacchi di panico
Mancavano solo questi

Quanta paura
Ogni volta che entravo dentro a un supermercato
Appena si chiudevano le porte scorrevoli dietro alle mie spalle
Cominciava a girare tutto
E da lì ogni volta la stessa storia
Dovevo uscire prima possibile
Subito!
Ma non era possibile
Il mio corpo non rispondeva ai comandi
Morivo dalla paura
Uscendo dopo un po’passava tutto
Ma io ormai ero senza energie
Ero delusa, sfinita

Ma non volevo dargliela vinta
Così anche il giorno dopo entravo dentro
Mi facevo coraggio da sola
Non volevo restare a casa o in macchina
Perché so benissimo che così la paura sarebbe cresciuta
Avrebbe vinto lei
Non avrei potuto fare la spesa mai più
Allora entravo dentro al supermercato
E mi facevo travolgere dai miei mostri

Così un giorno ho capito perché arrivano a visitarmi
Mi sentivo in gabbia
Non mi piaceva la mia vita
Era un periodo particolarmente pesante
Volevo esprimermi
Volevo condividere la mia passione
Io invece l’ho repressa
Dentro di me c’era un vulcano pieno di lava bollente
Prima o poi doveva succedere qualcosa
E poi è successo
La lava bollente usciva da tutti i miei pori

Era l’attacco di panico
Mi liberava dalle mie catene
Mi liberava dal guscio che mi era troppo stretto
Era una battaglia dove si vive o si muore dentro

Io ho scelto di vivere
Gli sono immensamente grata perché da lì a oggi sono passati 3 anni
Tre anni di crescita
Tre anni più belli della mia vita
Tre anni di consapevolezza

Ho cominciato ad assaporare la vita
Sono cambiata, sono cresciuta
Sono diventata una donna coraggiosa
Orgoliosa di me stessa
Cavolo, è veramente incredibile!
Io che mi odiavo profondamente, sono immensamente orgogliosa di me stessa

Da bambina sognavo una vita diversa
Ho ricominciato da quei sogni
Sogno un mondo a colori
Un mondo dove sono io l’eroina
L’eroina in cammino
Dove con la mia empatia tra migliaia di anime Saprò riconoscere i cuori solitari e invisibili
Bisognosi di amore, di compassione e di coraggio

Voglio tirarli fuori da quel buio che si è nutrito per anni della mia anima
Voglio toccarli donando luce a ognuno di loro
E senza etichette, senza aspettative
Vedranno realmente per la prima volta la propria bellezza
E scopriranno di avere i colori ancora più scintillanti di tutti gli altri. 🙏

Con tutto il cuore questa volta vi chiedo di condividerlo perché così riusciamo insieme a illuminare quelle anime che si sentono sole e sfinite nella loro battaglia. ❤️❤️❤️

ASCOLTAMI QUANDO NON PARLO

[La mia esperienza con il mutismo selettivo]

Photo: Archivio personale

Sono sempre stata molto legata a mia sorella. Lei è più piccola di circa un anno.
Tutte le altre persone l’ho aggiunte successivamente nella mia lista di persone con le quali posso parlare.

La mia famiglia era composta da mia sorella Ana, mamma, papà e nonno.

Durante i primi anni dell’infanzia papà accompagnava spesso mamma all’ospedale psichiatrico. I medici la trattenevano sempre almeno qualche giorno o anche settimana.

Ricordo una volta in particolare.

Quella volta ero convinta che fosse la prima ma poi ho trovato un documento che mi faceva capire che tutte le altre volte ero

troppo piccola per ricordare.

Quella volta mamma e papà sono usciti molto presto. Probabilmente verso le 5 del mattino.
Non avevamo una macchina e quindi sono andati a prendere il bus.

La giornata non me la ricordo per niente. Immagino sia passata giocando con Ana come tante altre volte.

Invece, nel pomeriggio avevamo cominciato a guardare la strada. Sempre più spesso.

Dalla nostra casa sulla montagna vedevamo benissimo la strada giù al mare. E potevamo vedere anche il pullman.

Ogni secondo che si avvicinava verso la sera, sembrava sempre più lungo.
L’ansia e la paura nei nostri cuoricini erano indescrivibili.

Nonno guardava la strada, noi due guardavamo la strada.
Povero nonno probabilmente era in ansia anche lui. Non sapeva cosa dirci, come proteggerci da quella sofferenza.

Non sapevamo cosa è successo, per quale motivo mamma e papà non sono ancora tornati.

Si era fatto buio e dovevamo andare a dormire. Nonno ha acceso la candela sul comodino e noi siamo entrate a letto con due cuori pesanti come se fossero fatti di piombo.

Ricordo che guardavo la candela e pensavo alle parole di mamma: “Non ti avvicinare altrimenti ti bruci!”
Giusto per farti capire, mia mamma potrebbe tranquillamente avere Ansia come secondo nome.

In quel istante avevo paura che nonno si fosse dimenticato di venire a spegnerla.
E quella volta ho immaginato per la prima volta un evento brutto che poteva succedere al quale da bambina non dovevo neanche pensare.

Avevo paura che la candela potesse bruciare tutta la camera. Per fortuna più tardi nonno è venuto a vedere se ci siamo coperte e l’ha spenta.
La camera si è riempita di ombre, del odore della candela spenta e di tanta tantissima ansia e sensazione di abbandono.

Mi sono sentita sola al mondo.

Adesso se potessi tornerei indietro, mi metterei in ginocchio vicino a quel letto e abbracciando le due piccole bimbe susurrerei: “Va tutto bene! Va tutto bene!”

Quella sera sul letto di mamma e papà c’erano queste due bambine di circa 3-4 o 5 anni che sembravano due angeli biondi ai quali il destino crudele aveva appena tagliato le ali.

Siamo andate a dormire senza mamma e senza papà.

Dopo qualche giorno mamma è tornata a casa ma siccome aveva spesso attacchi di panico, paura di morire e ansie di vario genere papà la riportava in ospedale.
Sembrava pericolosa per se stessa e cercava di allontanare me e mia sorella quando sentiva un attacco in arrivo.

Questi erano i primi anni della mia vita. Io, Ana e nonno eravamo sempre insieme.
Mama e papà no, perché mamma restava in ospedale e papà tornava a lavoro.

Ricordo una volta quando sono caduta in giardino. Sono atterrata sulle ginocchia e per qualche secondo ho provato un dolore indescrivibile e non riuscivo neanche ad alzarmi.

In quel momento ho sentito il desiderio di piangere chiamando la mamma come fanno tutti i bambini.
Subito dopo ho pensato: ” È inutile, che la chiamo a fare. Mamma non verrà!”

Quando eravamo tutti insieme il mio mondo erano loro. Tutto quello che avevo erano loro. Tutto quello che conoscevo erano loro.

I rari momenti quando si allargava questo mondo erano i mesi estivi quando venivano a trovarci i nostri parenti italiani.

Io ero timida. Evitavo lo sguardo e spesso sentendomi spaesata davanti a loro mi mettevo a piangere.
La stessa cosa è successa in fotografia mentre zio cercava di fotografarmi.

Arrivata a 5 anni ricordo un pomeriggio quando mia mamma piangeva.

La vicina di casa le diceva di non preoccuparsi perché tutti i bambini prima o poi andranno in asilo e poi a scuola.
Giorno dopo mi hanno lasciata con una signora e una decina di bambini. Tutti sconosciuti! Mai visto prima nessuno di loro.
Non riuscivo a parlare. Non volevo stare lì con loro.
Volevo tornare a casa.

Volevo stare con la mia famiglia anche se non era perfetta.

Volevo chiacchierare e giocare come sempre con mia sorella.
Ho pianto. Era un incubo restare lì.

Quando sono venuti a prendermi ho cominciato a piangere di nuovo. A mio papà ho detto che mi ero dimenticata il mio asciugamanino piccolo e lui mi ha risposto che l’abbiamo portato lì apposta perché mi servirà anche domani.
E così ho capito che dovevo tornare in quel posto pieno di bambini e giocattoli tra i quali mi sentivo spaesata.

Dovevo stare lì ma dentro di me sentivo solo il desiderio di tornare a casa.
Per soffrire di meno mi sono “spenta“, “annullata” in quelle ore.

L’unica cosa per la quale cercavo attenzione era quando dovevo andare in bagno.
Come facevo?
Ovviamente non a parole.
Cominciavo a piangere in silenzio.

Qualche bambino notava le mie lacrime e lo comunicava alla maestra.

In quel momento cominciavano le domande: “Hai fame?”, “Ti fa male qualcosa?” e io facevo il segno di no solo con la testa.
Poi quando chiedevano: ” Devi andare al bagno?” annuivo sempre con la testa e la maestra diceva a una bambina del gruppo di accompagnarmi.

Tornavo a casa e recuperavo le mie chiacchiere.

Dopo due anni di asilo è arrivato il momento di andare a scuola.

Tutti speravano in un improvviso cambiamento ma io ormai avevo l’identità di quella che non parla, quella timida.

La timidezza era come un etichetta che portavo incollata addosso.

In pausa per la merenda andavo a mangiare in sala pranzo con tutti i miei compagni di classe.

Dopo loro andavano tutti a giocare fuori. Io no.

Avevo scelto l’angolo di muri proprio davanti alla porta della mia classe.

Mi attaccavo con la schiena al muro e aspettavo li.

Si, aspettavo proprio lì. Tutti i giorni.

Passavano i professori e io stavo li. Mi sentivo invisibile ai loro occhi. Lo so che sembra incredibile ma è un ricordo che mi fà venire le lacrime agli occhi.

Il primo giorno di scuola era anche l’ultimo giorno di vita con mia mamma.

Quel giorno è stata portata in ospedale e uscendo da lì l’hanno trasferita dai miei nonni.

Amavo le giornate estive quando papà invitava me e Ana di prepararci e ci portava a lavoro.

Lavorava sulla manutenzione di un bellissimo hotel in spiaggia.
Ci portava con lui, ci offriva il suo pranzo e ci faceva divertire tra gli ascensori, parco giochi e la spiaggia.

Spesso i suoi colleghi ci facevano delle domande. Una di quelle più odiose era: “Avete trovato il fidanzatino?”
Noi non rispondevamo e quando non rispondi ti dicono: “Che il gatto ti ha mangiato la lingua?” e mio papà rispodeva: “Sono timide!”

Ma io parlavo con il mio silenzio e mi arrabbiavo quando mi presentava come timida.

Mi faceva sentire peggio.

Mia sorella rispondeva qualche volta. Lei parlava anche a scuola ma alle domande imbarazzanti non rispondeva.

Sono riuscita ad arrivare a metà del anno scolastico senza dire una parola.

Per andare al bagno aspettavo le pause ma a volte era anche un problema alzarmi, attirare attenzione di tutti e camminare fino al bagno. Ero ibernizzata ma dentro di me “bolliva” solo il desiderio di tornare a casa.

Una volta siamo stati portati a giocare lontano da scuola.

Io stavo in disparte come sempre e dovevo fare la pipì.

Ricordo ancora il liquido caldo che mi scende lungo le gambe e bagnando i miei pantaloni verdi di velluto fa vedere a tutti cosa mi è successo.

Purtroppo i professori hanno saputo solo farmi ritornare in cassetta così bagnata. Non mi hanno accompagnato a casa.

Dopo un po’ di tempo il professore è andato in malattia e la professoressa che lo sostituiva ha suggerito a mio papà di portarmi da suo marito che era il medico di famiglia.

Papà mi ha portato da lui ma non ricordo altro.
Suppongo che avranno dato la “colpa” alla nostra situazione in famiglia e che non si poteva fare altro. Dovevamo solo attendere che poi con il tempo mi passerà questa cosa.
Dopo la visita non è cambiato niente.

Qualche mese dopo il mio maestro è tornato e per lui era incredibile la storia di mio papà che gli raccontava della figlia chiacchierona.

Un giorno mio papà ha tirato fuori lo stereo, microfoni e una cassetta e ha chiesto a me e ad Ana di registrare le nostre poesie e cose simili.
Per noi era un bellissimo gioco.
Mia sorella era più spigliata ma ci siamo divertiti tutti e tre.
Poi mio papà mi ha detto di leggere un testo dal mio libro di scuola.
Uno di quelli che i miei compagni di classe dovevano leggere a voce alta davanti a tutti per far valutare al professore se hanno imparato bene la lettura.

Così il professore ha capito che effettivamente parlavo. Non c’era niente che non andava con me.

Un giorno si è rotto le scatole del mio silenzio e mi ha chiesto di leggere un testo.

Io non riuscivo. Non volevo. Io ero quella che non parlava.

Lui aveva deciso di rompere questo silenzio. Urlava. Non ricordo cosa. Ricordo solo le urla e le mie lacrime.
Piangevo così tanto per la paura che mi ha messo.

Ancora oggi non sopporto urla perché mi ricordano il pericolo di quando mamma perdeva la testa urlando.

Suppongo che l’ansia di parlare in quel momento era superata dalla paura di vedere questo professore rosso in faccia con una voce che si sentiva anche fuori dalla scuola.

Piangendo, singhiozzando, senza neanche vedere le lettere sulla pagina avevo cominciato a leggere. Davanti a tutti.

Non è una favola ne illusione dove da quel momento va tutto bene. Ci sono stati alti e bassi ma almeno avevo cominciato a rispondere alle domande anche alle persone alle quali non avrei mai cominciato a parlare per prima.

Non parlavo se non mi si faceva una domanda.

Purtroppo molte generazioni hanno scoperto il mutismo selettivo troppo tardi.

Quando ormai erano grandi.
Quando ormai ogni giorno era un battaglia tra quello che sentivamo dentro e quello che si aspettava la società da noi.

No, non eravamo uguali agli altri bambini.

Ma questo non significa che non avevamo niente da dare o dire al mondo. Anzi!

Le parole nascoste dentro di noi spesso vengono espresse sui fogli di quaderni, con i colori sulle tele e altri modi simili.

Arte è la modalità preferita di esprimerci anche in età adulta.

Grazie di aver letto questo racconto perché tutti noi abbiamo le nostre storie e tutti abbiamo parti di noi che vogliamo condividere con il mondo.

Ovviamente quando sentiamo che sia arrivato il momento giusto.

Non forzare a nessuno di fare qualcosa che pensi che dovrebbe.

Lo fara se e quando si sentirà sicuro vicino a te.
Credi in lui perché suo mondo interiore è ricco di possibilità come il tuo.

Quando ho capito che era il mutismo selettivo quello che mi ha frenato da piccola, ho pianto. Era un pianto di gioia. Da quel momento mi sono sentita liberata dalla gabbia di muttismo selettivo.

Lasciami un commento se anche tu hai avuto il contatto con il mutismo selettivo. Con tutto il cuore voglio leggere la tua esperienza.

Grazie di cuore

By Katica Sjaus

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