
Photo: Kaboompics .com
Sono passati quasi 30 anni da quando ho avuto la prima volta il desiderio di scrivere il libro.
Ero ancora una bambina che non conosceva il mondo.
Praticamente non avevo neanche la TV in casa.
Non c’era la corrente elettrica e le mie lampadine sul comodino profumavano di cera colata.
Dalla mia casa sulla montagna guardavo il mare e una strada statale che passava a destra e a sinistra. Era l’Adriatica croata.
Ricordo quando con mia sorella pensavamo che questo probabilmente indicasse i quattro confini della Terra con il resto dell’universo.
Davanti a noi c’era il mare. Alle nostre spalle credevamo finisse dietro le montagne.
E quello che ci incuriosiva di più era quando ci chiedevamo come sarebbe prendere la strada a destra o quella a sinistra e percorrerla fino in fondo, alla fine della Terra. Hm!
O come dicevamo noi, fino al confine con il resto del universo.
Immaginavamo una fine dietro alla quale si cadeva direttamente nel vuoto. Come se la Terra fosse piatta.
Questo era il periodo quando avevo già cominciato a sognare di scrivere il libro e di vivere libera dagli legami di lavoro o peggio quelli di matrimonio.
Quindi niente posto fisso, contratto a tempo indeterminato e cose simili.
Crescendo ho cominciato a chiedermi cosa potrei dire io al mondo. Volevo dare il mio contributo slla Terra.
Avevo cominciato a scoprire e leggere storie di scrittori che hanno vissuto bruttissima infanzia e da grandi hanno raggiunto il successo.
Pensavo che anche io potevo prendere quella strada.
Anzi ero già a metà perché anche la mia vita assomiglia a un dipinto pieno di ombre scure.
A questo punto potevo quasi essere a metà strada dato che mi mancava solo il riscatto dalle ombre quando raggiungerò il successo.
In realtà crescendo ho preferito ascoltare il mio cuore e nel frattempo dedicarmi alla lettura.
Ho imparato a testare esperienze di persone che avevano già raggiunto il successo.
Così ho percorso nuove strade, ho acceso la luce e ho scoperto che veramente anch’io posso scrivere un libro.
Peccato che prima volevo diventare perfetta e aspettavo il momento perfetto per scrivere il libro perfetto come dicevo anche nell’ultimo articolo. Qui!
In realtà immagino che avrei messo la maschera di chi volevo diventare e scrivere come si vive bene la vita da perfetti.
Esistono tantissimi libri di questo genere. Persone che raccontano storie mai vissute per cercare la compassione di qualche lettore che acquisterà il libro.
Quella però non sarebbe stata la mia storia. Non avrei dato me stessa in quel racconto.
Avrei rinnegato ogni giorno vissuto nella mia vita. Aspettando la perfezione avrei soltanto confermato a me stessa che ancora non mi andavo bene.
Mi sarei detta che non raggiungerò mai quella vetta che mi sono prefissata.
Invece sono qui, adesso. Oggi sono perfetta proprio così come sono.
È stata una grandissima scoperta che la valutazione della perfezione la misuravo con lo sguardo delle persone intorno a me.
Quella frase:” Cosa dirà la gente?” mi ha frenato tutta la vita.
Ogni decisione che prendevo veniva filtrata con: “Cosa dirà la gente?”.
In realtà non erano gli altri a frenare la realizzazione di miei sogni ma io, da sola.
Nessuno ti può fare del male quanto riesci a farlo da solo.
È un po’ come quando in un film c’è una ragazza troppo ingenua che crede che la stronza di turno fosse sua amica.
Quella sua amica sono stata io con me stessa. I pensieri e discorsi che cercavano di rovinare ogni amore, festa, viaggio, amicizia, lavoro.
Ogni santa volta quella mia amica immaginaria doveva dire la sua.
E la sua era sempre:
“Attenta!”, “Non ti fidare!”,
“È inutile, non diventerai mai brava a lavoro!”,
“È meglio che resti a casa!”, “Ti puoi impegnare quanto ti pare ma non sarai mai bella e brava come loro!”…
Sono sempre stata molto vulnerabile. Bastava poco per smontare anche il desiderio di vivere in me.
Una piccola critica per me significava giorni, settimane o mesi di sofferenza. Alcune frasi risuonano ancora oggi come l’eco nella mia testa.
Il messaggio che ricevevo era “Sei completamente sbagliata!” e “Non vali!”
Credevo di non valere nulla. Credevo di non meritare neanche un secondo di attenzione da parte della gente. Non avrei mai disturbato qualcuno per chiedergli anche solo un informazione.
Quando viaggiavo da sola non ho mai chiesto indicazioni nella città dove passeggiando a volte capitava di perdermi. Io non meritavo il loro tempo.
Mi guardavo intorno e mi sentivo ancora più strana. Nessuno sembrava avere i miei stessi problemi. Solo io. Significava che probabilmente non ero normale, pensavo convinta di questa cosa.
Neanche mia sorella che è un anno più piccola all’epoca non mi sembrava vulnerabile. Pensavo fosse una malattia solo mia.
Nella società che ci insegna di nascondere le proprie emozioni ho creato ancora più sofferenza cercando di nascondere la vulnerabilità, le lacrime e i miei bisogni di amore.
Mi vergognavo di me stessa. Odiavo il fatto di sentirmi diversa.
Alcuni compagni di scuola mi prendevano in giro. Ricordo ancora il dolore di quelle ferite. Quanto può far male una frase detta da un bambino a un altro bambino. E tornando a casa non avevo nessuno a chi raccontarlo.
Nessuno che avrebbe potuto capirmi.
Non c’era nessuno che mi avrebbe protetto da quelle lacrime.
Negli anni 80 e 90 i professori e maestri delle scuole si rendevano conto che ero una bambina con bisogno di aiuto.
La maggior parte di loro conosceva la mia situazione in famiglia ma probabilmente non sapevano cosa fare.
A volte mi sembravo invisibile anche per loro. Tutto il mio comportamento silenzioso, timido e chiuso urlava bisogno di essere vista e aiutata e il mondo continuava la propria corsa sfiorandomi qualche volta per caso.
Ti voglio ringraziare per avermi dato la possibilità di condividere con te un pezzo della mia vita.
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Grazie di cuore
By Katica Sjaus
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